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IL LASCITO ESIGENTE DI PIERRE E FRANCO ALLA VIGILIA DEL CONGRESSO DELLA CISL

Il diciannovesimo congresso della Cisl, in programma a Roma alla fine di maggio 2022, è il primo dopo numerosi decenni a svolgersi senza la presenza di di Pierre Carniti e Franco Marini, due grandissimi dirigenti sindacali cislini, indimenticati segretari generali della confederazione.

Il libro che ha “celebrato” gli ottanta anni di Carniti, riporta, tra i vari sottotitoli: “una vita senza rimpianti, Pierre Carniti e il suo tempo”.

Un bel volume uscito negli scorsi mesi che ricorda Franco Marini, si intitola, con un bel gioco di parole: “Sempre Franco”.

A quattro anni dalla scomparsa di Carniti e a un anno dalla scomparsa di Marini, non dobbiamo stancarci di ricordare il profilo storico di due grandi protagonisti della Cisl e dell’Italia della seconda parte del Novecento.

Anche oggi, in un tempo in cui non possiamo non guardare fuori da noi, alla tragedia che sta accadendo in Ucraina, ai confini dell’Unione Europea.

E’ ancora recente l’eco della scomparsa per proporre un profilo distaccato e scientifico, tuttavia dobbiamo sforzarci di avviare, insieme alle testimonianze personali, una riflessione sull’originale e paradigmatica esperienza sindacale di questi due grandi segretari generali della Cisl nell’ampio contesto temporale in cui si è sviluppata.

Il tema del tempo, di oltre sei decenni di impegno sociale e sindacale di Carniti e Marini, permette di svolgere, infatti, una prima riflessione.

Dobbiamo guardare a queste figure non nell’ottica tradizionale di un tempo cronologico, per quanto esteso, ma di un kairòs, un “tempo opportuno”.

Paolo Giuntella altro grande testimone, in un suo testo, “Il fiore rosso” ci ricordava che nel Libro della giungla di Kipling, il cucciolo d’uomo Mowgli riesce a vincere l’arrogante tigre Shere Khan con il fiore rosso, il fuoco, un tizzone ardente. Il fuoco non brucia Shere Khan, lo allontana per sempre.

Prendendo lo spunto da questo episodio e, soprattutto da questa simbologia, Giuntella ci mostra il passaggio, di generazione in generazione, del tizzone ardente, del fuoco della fede, del fuoco interiore, fino ad oggi e all’infinito. Come scriveva Giuntella: “non è, dunque, la potenza delle pietre dei templi o la forza delle istituzioni ad assicurarci l’avvenire, ma il passaggio da persona a persona di questo tizzone ardente, del fiore rosso della testimonianza.”

Un lascito, impegnativo e appassionante, che gli indimenticabili Pierre e Franco consegnano oggi alla “loro” Cisl e, più in generale, a tutto il sindacalismo confederale italiano…

Pierre Carniti e Franco Marini in “questo tempo”

Un “tizzone ardente” e un lascito non solo da celebrare,

ma da accogliere e testimoniare.

Di Francesco Lauria [Centro Studi Cisl Firenze]

In ricordo di Pierre Carniti e Franco Marini: una poesia

Sulle verdi colline di Fiesole

con Marini per un anno a S. Domenico

e con voi compagni della mia vita

e con Pierre Carniti

divorato dalla ferita

di un’ulcera rabbiosa

contro il mondo di sfruttamento offesa e umiliazione

imparai le conquiste del lavoro

con il potere che alla fine approda

a un più alto equilibrio di giustizia.

Contro il profitto e l’accumulazione

e utopie serpeggiavano nel gregge,

vecchie lusinghe della rivoluzione.

Noi, invece, me ne ricordo ancora,

a Villa Schifanoia si concertava

come romper le gabbie salariali,

portare la legge alla sua evoluzione

e la giustizia ad equità sociale.

Non eravamo razza votata al supplizio.

Alcuni per dignità, altri per avventura,

alcuni per giustizia,

altri perché il salario crescesse un soldo in più,

altri con paura di sollevar

nelle fabbriche la contesa

provarono che almeno in parte l’ingiuria

si può cancellare dalla guancia offesa.

Vogliamo le riforme e i cambiamenti

per nostra dignità o è lotta dura!

Abbattete chi pratica l’usura,

fate giustizia con regola e misura!

Poi venne il Maggio Sessantotto

e gli studenti che in strada lottavano

per l’Immaginazione al potere.

Il Potere schiantò ai quattro venti.

Vasco Ferretti [compagno di corso di Carniti e Marini al corso lungo del 1956; poesia appesa all’ingresso dell’aula magna del Centro Studi di Firenze].

“[…] Proprio l’Europa, a cavallo tra luglio e agosto del 1914 si incammina verso il suicidio. Il poeta francese Paul Valery si esprimerà così dopo il conflitto: “Constatiamo ora che l’abisso della storia è grande abbastanza per tutti. Sentiamo che una civiltà è fragile come una vita. Ruggini territoriali mai sopite, pulsioni nazionaliste, competizione commerciale, lotta per l’accaparramento delle aree coloniali da sfruttare per le materie prime e, sul piano interno ai singoli Paesi, movimenti indipendentisti, agitazioni sociali, preoccupazioni per il cammino della democrazia, tensioni ricorrenti nell’economia e nella finanza forniscono legna per l’incendio che, prima o poi sarebbe stato acceso. L’industria militare bruciava acciaio e sfornava armi di stermino sempre più potenti. Suonano dunque come previsione più che profezia le parole pronunciate nel 1895 [!] dall’uomo che qualche anno dopo avrebbe ricevuto il premio Nobel per la pace, il francese Frederic Passy: “un incidente imprevisto, un caso ineluttabile, perché le scintille cadano un attimo su quei mucchi di materiale infiammabile che si tanno follemente ammassando […] e facciano saltare in aria, fino al cielo, tutta l’Europa”. E l’Europa saltò. […]

Ha osservato lo storico americano Lawrence Sondhaus in un’intervista: “il retaggio forse più impressionante della prima guerra mondiale è il contributo all’assuefazione di milioni di persone alla brutalità, alla disumanità, agli immani massacri della guerra dell’età industriale. […] Dopo l’agosto del ’14 l’Europa dovrà attendere trentuno anni perché sul suo suolo torni a soffiare la pace. E alcuni grandi uomini, tra cui De Gasperi, Adenauer, Schuman, perché l’Europa cominci a pensarsi come una cosa comune è il sogno dell’integrazione del continente perché “mai più” ci sia un europea che leva il fucile contro un altro europeo e si apra una stagione di prosperità e progresso che solo la pace può permettere”.

Articolo di Franco Marini su il Foglio, 2 agosto 2014.

“Noi non siamo chiamati a fare la guardia alle istituzioni, a preservare un ordine semplicemente rassicurante, nel quale il progresso economico può essere disgiunto dal progresso sociale, può lasciare alle sue spalle profondi squilibri e diseguaglianze, perpetuando gravi ingiustizie.

Siamo invece chiamati a raccogliere, con consapevolezza democratica, tutte le tensioni, i problemi della povera gente, degli emarginati, dei disoccupati, delle donne e dei giovani, ad esprimere piena dedizione, in sostanza, alla causa della liberazione dell’uomo, e della sua presenza in una società che sia costruita a sua misura.

[…] Se si perde il senso dell’ideale ci si immiserisce nella pratica quotidiana. Se si perde il senso di responsabilità ci si adegua al modo d’essere di un sindacato che si rinchiude in una logica difensiva, che può vagheggiare l’avvenire, ma non è chiamato a gestire il presente.

Ci sono le condizioni e le potenzialità perchè non sia disertata nessuna di queste esigenze, perchè non ci si sottragga a nessuna di queste responsabilità”.

Pierre Carniti.”Il “mestiere” del sindacato nuovo”. Intervento al Consiglio Generale della Cisl, Roma 12-14 gennaio 1977[1]

1.    “Noi”.

Il diciannovesimo congresso della Cisl, in programma a Roma alla fine di maggio 2022, è il primo dopo numerosi decenni a svolgersi senza la presenza di di Pierre Carniti e Franco Marini, due grandissimi dirigenti sindacali cislini, indimenticati segretari generali della confederazione.

Il libro che ha “celebrato” gli ottanta anni di Carniti, riporta, tra i vari sottotitoli: “una vita senza rimpianti, Pierre Carniti e il suo tempo”[2].

Un bel volume uscito negli scorsi mesi che ricorda Franco Marini, si intitola, con un bel gioco di parole: “Sempre Franco”[3].

A quattro anni dalla scomparsa di Pierre e a un anno dalla scomparsa di Franco, non dobbiamo stancarci di ricordare il profilo storico di due grandi protagonisti della Cisl e dell’Italia della seconda parte del Novecento.

Anche oggi, in un tempo in cui non possiamo non guardare fuori da noi, alla tragedia che sta accadendo in Ucraina, ai confini dell’Unione Europea.

E’ ancora recente l’eco della scomparsa per proporre un profilo distaccato e scientifico, tuttavia dobbiamo sforzarci di avviare, insieme alle testimonianze personali, una riflessione sulla originale e paradigmatica esperienza sindacale di questi due grandi segretari generali della Cisl nell’ampio contesto temporale in cui si è sviluppata.

Il tema del tempo, di oltre sei decenni di impegno sociale e sindacale di Carniti e Marini, permette di svolgere una prima riflessione.

Dobbiamo guardare a queste figure non nell’ottica tradizionale di un tempo cronologico, per quanto esteso, ma di un kairòs, un “tempo opportuno”.

Paolo Giuntella altro grande testimone, in un suo testo, “Il fiore rosso[4]” ci ricordava che nel Libro della giungla di Kipling, il cucciolo d’uomo Mowgli riesce a vincere l’arrogante tigre Shere Khan con il fiore rosso, il fuoco, un tizzone ardente. Il fuoco non brucia Shere Khan, lo allontana per sempre.

Prendendo lo spunto da questo episodio e, soprattutto da questa simbologia, Giuntella ci mostra il passaggio, di generazione in generazione, del tizzone ardente, del fuoco della fede, del fuoco interiore, fino ad oggi e all’infinito. Come scriveva Giuntella: “non è, dunque, la potenza delle pietre dei templi o la forza delle istituzioni ad assicurarci l’avvenire, ma il passaggio da persona a persona di questo tizzone ardente, del fiore rosso della testimonianza.”

2.    Pensiero e azione in Carniti e Marini

Ripercorrere la biografia di Pierre Carniti e Franco Marini attraverso le loro interviste autobiografiche, ma anche dai tanti lori scritti, dalle loro relazioni e interventi ci permette di raccogliere e stringere, pur nella diversità di queste due grandi figure, le loro “mani aperte” verso la loro amata Cisl e intrecciare al meglio la loro passione per il sindacato e per i lavoratori e le lavoratrici, per il “fare giustizia insieme”, come ci ha ricordato nel giugno del 2017 Papa Francesco, attraverso il dialogo, fruttuoso e dialettico, tra le generazioni.

Senza mai dimenticare, come ci ha ricordato Bruno Manghi, che, in Carniti e Marini, non si possono e non si devono distinguere pensiero e azione, azione e pensiero.

Condivido moltissimo la riflessione di Manghi che, nel commentare la figura di Pierre Carniti, ha parlato del suo concepire il sindacalismo come azione collettiva, una concezione che, specialmente nei primi dieci anni della sua attività sindacale, rappresentava una via di comunicazione per rompere il silenzio pubblico che circondava il sindacato, quando i media non ne corteggiavano, anzi ne snobbavano l’esperienza.

Ha detto, invece, Sergio Mattarella ricordando l’amico Franco Marini: “Marini apparteneva alla schiera di quanti hanno saputo trasfondere nelle istituzioni la passione e il valore di aspirazioni autentiche, maturate tra la gente. Non dimenticò mai le battaglie sociali che hanno costantemente caratterizzato la sua vita. In essa possiamo leggere l’ansia di riscatto delle popolazioni delle periferie del paese, il contributo alla modernizzazione dell’Italia nel segno del progresso”.

Manghi contrappone correttamente il sindacalismo dell’azione collettiva al “sindacalismo dell’immagine”, sempre meno sorprendente e “al limite della noia”.

Questo aspetto è uno dei tratti che accomunano questi due uomini del Novecento, Marini era nato a San Pio delle Camere in Abruzzo il 9 aprile 1933, Carniti a Castelleone, in provincia di Cremona il 25 settembre 1936.

Inevitabilmente dobbiamo ricercare ancora più indietro, tornando ai loro riferimenti.

Ancora Manghi ci ricorda, nella sua riflessione contenuta nel libro: “Pensiero, azione, autonomia”, come Carniti si ispiri esplicitamente a storie di un tempo diverso, anche molto precedente al suo, riproponendole nel cuore della modernità industriale, senza perdere i riferimenti al mondo agricolo della sua Cremona.

Più forte appare questo tratto in Marini che raccontava: “La mia famiglia era tipicamente contadina. Mio nonno, che si chiamava Franco Marini come me, da ragazzo faceva il pastore, in una forma tipica di quelle parti. Una forma simile alla cooperativa. A San Pio non esistevano grandi proprietari, ogni famiglia aveva 15-20 pecore. Allora, a turno, le varie famiglie prendevano e accudivano le pecore del paese. Una forma molto bella e direi anche moderna di rapporto. Di solidarietà”.

Nella stessa intervista Marini riprendeva il tema dell’emigrazione dei cinque viaggi negli Stati Uniti di “nonno Franco”, nella forte ondata migratoria che contraddistinse l’Italia e le sue periferie agli inizi del ‘900.

Il primo passo non può che essere, quindi, un ritorno alle origini valoriali di una straordinaria e più che centenaria esperienza collettiva: riscoprire il desiderio di fare ed essere sindacato, la felicità, in senso antropologico, quell’habitus che Bordieu definisce “desiderio di essere”.

Rileggere Carniti e Marini oggi, dopo che il soffio della loro fragilità ci ha terrenamente lasciato, discutendoli e non trasformandoli in comode icone, facendo loro un torto, ci permette, pur nelle difficoltà del nostro tempo frantumato, di sentirci dentro un tempo opportuno e condiviso per la Speranza.

Non può essere uno sterile esercizio di nostalgia.

Carniti ci ha ammonito immediatamente nel suo testo biografico affermando che il fare sindacato è “cosa impossibile da dire” e che avrebbe provato a trasmettere alcuni ricordi e riflessioni senza rinunciare alla sua “vista da presbite sul mondo di domani”.

Io stesso ho negli occhi l’incontro che ho contribuito ad organizzare il 9 aprile 2019 nella mia città di adozione, Pistoia, con Franco Marini in cui abbiamo raccontato la costruzione del “sindacato nuovo” ai giovani sindacalisti, ma soprattutto ai ragazzi e alle ragazze delle scuole superiori. Marini raccontava dell’impegno di Pastore a superare la subordinazione del sindacato e dei lavoratori, ma coglieva il nesso tra il 1950 e il presente, collegando le sue prime precarie ed “eroiche” esperienze sindacali tra i lavoratori dell’Abruzzo a quello che lui aveva osservato alle porte di Roma, con l’insediamento di un nuovo polo logistico di Amazon.

Seppe catturare, lo scrivo senza retorica, l’attenzione dei ragazzi e delle ragazze del liceo Petrocchi di Pistoia, provati da ore di fitti interventi, collegando, senza paternalismi e con grande predisposizione all’ascolto, la sua storia alla loro storia, le sue aspirazioni e condizioni di un tempo, alle loro aspirazioni e condizioni di oggi.

L’ultima lettera, scritta pochissimi giorni prima di morire di Carniti, che ho avuto il compito, con grande commozione, di trascrivere è stata rivolta proprio ai giovani e a loro indirizzata attraverso il Centro Studi di Firenze.

3.    Spunti biografici

Una prima riflessione su Carniti ce la suggerisce proprio il soprannome “Pierre” alla francese, un nome scelto dal padre, “cattolico-socialista”, per prendersi gioco dell’ordine del regime fascista di dare ai bambini nomi autarchici.

Un altro spunto ce lo dà il luogo di nascita: Castelleone, centro agricolo del cremonese, non troppo lontano da Bozzolo, luogo in cui operò don Primo Mazzolari [che era di casa nella dimora della famiglia Carniti] e ancor più vicino al luogo di azione di un altro grande cattolico sociale “non ordinario”: Guido Miglioli. Di quest’ultimo, Carniti ricordava la promozione di scioperi durissimi in ambito agricolo e, soprattutto, i primi esperimenti di “conduzione associata” in ambito agrario, una sorta di autogestione ante litteram, in cui anche lui stesso giovanissimo si impegnò, prima di venire notato da amici di quello che sarà per lui guida e maestro: il futuro segretario generale della Cisl Luigi Macario.

San Pio delle Camere, piccolo comune di montagna dell’aquilano, paese di nascita di Marini è altrettanto fondamentale nella biografia del “lupo abruzzese”.

“Era noto – è stato detto – lo straordinario radicamento di Marini nei valori dell’alpinità. E’ stato sempre presente alle manifestazioni in campo nazionale, regionale e locale”.

Non va dimenticato, però, il legame di Marini, primo di sette figli, con Rieti città adottiva, dove il padre si trasferì con tutta la famiglia per andare a lavorare in fabbrica alla Snia Viscosa.

Nella vita di Carniti e Marini, come è noto, un momento fondamentale è rappresentato dalla frequentazione del “mitico” corso lungo presso il Centro Studi di Firenze nel 1956.

Carniti rifiutò la prima chiamata della Cisl al già “mitico” Centro Studi di Firenze nel 1955 e partecipò al celebre corso “lungo” nel 1956, un’annata particolarmente fruttuosa per la Cisl poiché suoi compagni furono, tra gli altri, Eraldo Crea, Mario Colombo, Paolo Sartori e, appunto, Franco Marini.

Peculiare la testimonianza sul rapporto del sindacalista cremonese con Vincenzo Saba, braccio destro di Mario Romani e, all’epoca, direttore del Centro Studi di Firenze.

Carniti ha ricordato nel volume autobiografico la proficua trattativa con l’austero, ma disponibile professore per la concessione della chiave del portone al fine di permettere le uscite notturne e prevenire le fughe dal muro di cinta dei corsisti più esuberanti, ma anche una differenza di vedute, significativa, rispetto alla natura del capitalismo e alla sua capacità, apparentemente quasi scontata per Saba, di autoriformarsi. Ha ricordato, scherzosamente, il suo rapporto con “l’accademico direttore” anche nella sua ultima lettera, citando ancora la trattativa, vittoriosa, per avere la chiave del Centro Studi ed evitare, lui, insieme ai suoi giovani intraprendenti compagni di corso, gli scavalcamenti notturni[5].

Molto interessanti sono le citazioni che l’ex segretario della Cisl ci ha regalato sulle letture più importanti che hanno accompagnato il suo percorso formativo al Centro Studi di Firenze, luogo che la Cisl volle, fin dagli inizi, pluralista nei docenti, nei collaboratori, nei riferimenti culturali: a Maritain e Mounier [poi riletto in maniera critica], si affiancavano, ad esempio, Perlman e Ferrarotti.

Altrettanto significativi sono i ricordi di quel periodo raccontati da Franco Marini: “Ebbi la ventura di essere parte del disegno di costruzione della Cisl. Non posso dimenticare l’irriducibile fiducia che Pastore e Romani ponevano nei lavoratori e nel sindacato. Tutto sarebbe potuto accadere, tutto poteva essere perduto. Ma la via del recupero poteva partire solo dai lavoratori e dalla loro capacità di organizzarsi ed esprimersi in quanto classe dirigente”.

Con una scelta innovativa e non casuale, una volta terminato il “corso lungo”, i sindacalisti usciti dal Centro di Firenze venivano inviati non nel territorio di provenienza, ma in strutture diverse, con un sostegno economico di un paio di anni da parte della confederazione nazionale.

Se ricostruiamo le prime esperienze sindacali di Marini, ad esempio, dopo Firenze lo ritroviamo prima a Rieti, poi a l’Aquila, Avezzano, Agrigento, Biella e, infine, all’ufficio organizzativo confederale di Roma.

Carniti, che aveva richiesto di rimanere nell’ambito del sindacalismo agricolo [paradosso della storia, se pensiamo al complesso scontro nella Cisl degli anni settanta] fu inviato presso la Fim di Milano, allora guidata da Pietro Seveso, sindacalista non giovanissimo, ma aperto al cambiamento, con una scelta che avrebbe inciso fortemente, negli anni a venire, non solo sulla Cisl, ma sull’intero sindacalismo confederale italiano.

L’esperienza di Carniti e Marini, insieme a Colombo, Crea, ad Alberto Tridente, riconnette al tema di collocare queste figure così importanti all’interno della storia della Cisl, del sindacato e della società italiana.

Le loro biografie si collegano a quella del fondatore Giulio Pastore, in rapporto ad un tema trasversale delle rispettive vite: il contributo complessivo dei lavoratori, dei corpi intermedi e dei territori, ai processi di partecipazione sociale e democratica.

Concordando con quanto scritto da Andrea Ciampani[6], sono tre fattori principali che intrecciano pensiero e azione nella Cisl, a partire dal suo fondatore.

Gli elementi caratterizzanti sono i seguenti: la comprensione della realtà vissuta nel riconoscimento della centralità della dimensione culturale e formativa; il rischio innovativo, testimoniato nella costruzione del sindacato nuovo; infine, la grande capacità realizzativa nell’organizzazione delle aspettative di emancipazione personali e collettive. Questa è la Cisl!

4.    Il consolidamento della Cisl: dagli anni cinquanta agli anni sessanta

È opportuno soffermarsi su un punto specifico del percorso di Carniti.

Molto interessanti da leggere sono le pagine sulla costruzione dal basso dell’unità d’azione sindacale, negli anni del sodalizio dialettico con figure significative come quella, tra le altre, di Franco Castrezzati a Brescia, delle varie battute d’arresto, degli “esili”, delle battaglie di minoranza nella Fim, come, ancor di più, nella Cisl, guidata da un Bruno Storti, allora lontano dalle innovazioni proposte da Pierre e dagli “innovatori” che erano riuniti intorno alla sua azione e al suo carisma.

Uno di questi “esili”, lo ricorda proprio Carniti, si verificò quando, nel 1960, fu messo alle strette proprio dall’Unione territoriale di Milano che gli propose, alla vigilia del matrimonio, una significativa riduzione di stipendio, dal sapore tutto politico.

Non riuscita a liberarsi, in questo modo, di Carniti, la Cisl di Milano lo spedì in “punizione” nella zona di Legnano e Magenta.

Qui Carniti si inserì subito nel tessuto sociale e sindacale del territorio e, come racconta nella sua biografia raccolta da Paolo Feltrin, si impegnò in una vertenza molto complessa in un’azienda scarsamente sindacalizzata del settore meccano-tessile, come la Franco Tosi.

Nel raccontare l’accordo alla Franco Tosi, mediato con l’allora sindaco di Legnano, dirigente dell’azienda, Carniti ricorda: “Avevamo messo in discussione l’ordine naturale delle cose, ci accusarono di sconvolgere la catena degli equilibri locali, a nostro avviso basati sul quieto vivere. Di questo non mi sono mai preoccupato molto: gli equilibri crollano, poi si ricostituiscono e l’eccesso di tatticismo non ha mai fatto parte dei peccati di cui debba chiedere venia.”

Nell’autobiografia Carniti ricorda l’anno e mezzo passato a Legnano anche come “confino”; una condizione che si conclude nell’autunno del 1961, con il ritorno a Milano e l’ingresso in segreteria della Fim di Milano: una segreteria formata dal saggio Seveso, dall’innovatore “anarchico” Gavazzeni e da Carniti stesso.

Sono anni, annota il sindacalista cremonese, di enorme crescita anche quantitativa del sindacato, sia a livello di categorie industriali che, più in generale, confederale. Una crescita, “un boom”, particolarmente pronunciato a Milano e provincia.

I dati ci confermano che essa fu percentualmente superiore anche a quella del 1968-1969 e si accompagnò progressivamente anche ad una significativa estensione della contrattazione aziendale articolata.

Sull’innovazione nella Cisl Carniti è stato molto netto e preciso: “non credevamo in una Cisl diversa, ma in una Cisl che mettesse in pratica realmente quanto predicava da anni: sul ruolo delle categorie, sugli aumenti salariali legati alla produttività, sull’autonomia, sulla contrattazione aziendale”.

Sono, quindi, gli anni dell’impegno nel sindacato per la verticalizzazione, l’incompatibilità con le cariche politiche, il superamento delle differenze normative tra impiegati ed operai, sul rinnovamento delle forme di lotta e sull’unità di azione che culminerà con il comizio unitario al Vigorelli di Milano, non pienamente autorizzato né dalla Fim, né dalla Cisl nazionali e condiviso con il neoeletto segretario generale della Fiom, allora, ancora un po’ impacciato nell’arte oratoria, Bruno Trentin.

A Milano, intorno alla figura del futuro segretario generale della Fim e della Cisl, cominciò ad animarsi e raccogliersi un mondo culturale “militante” che sarà importantissimo negli anni successivi per l’organizzazione di Via Po e per le relazioni industriali italiane in generale: pensiamo, ad esempio, a Guido Baglioni, Bruno Manghi, Gian Primo Cella, Tiziano Treu.

È qui che si manifesta un cardine dell’originalità dell’esperienza carnitiana con un’azione sindacale che trascende il limite delle vertenze aziendali e con una prassi rivendicativa che si trovava ad assumere, senza perdere nulla in concretezza, un valore autonomo: politico e culturale.

Carniti ricordò, e con lui diversi altri, in particolare Gian Primo Cella, un anno importantissimo, il 1964, l’anno della nascita della rivista Dibattito Sindacale che diventerà uno strumento fondamentale per il suo “gruppo milanese”.

Il 1964 è anche l’anno del primo viaggio negli Stati Uniti, di cui, inevitabilmente, la tappa più importante è Detroit, con l’incontro con il sindacato dell’auto e la riflessione sul campo rispetto agli aumenti diretti del salario in base alle performance aziendali, alle pensioni integrative, all’assistenza sanitaria, al tema delle qualifiche sul posto di lavoro, al controllo della linea di produzione, al risparmio contrattuale, al welfare negoziato, tutti temi di grande attualità anche oggi.

Tra i compagni di strada, a Milano e poi a Roma, uno merita una menzione e un ricordo particolare: si tratta di Pippo Morelli con la sua passione per l’educazione degli adulti che sarà alla base dell’esperienza eccezionale delle 150 ore per il diritto allo studio e di un approccio alla formazione che giustamente Carniti ha definito: “pratica di libertà e processo di liberazione”. A quella mobilitazione seguì, sulla stessa scia, la mobilitazione dal basso sui temi dell’ambiente e della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e non solo, mobilitazione che nella zona milanese fu molto diffusa e profonda.

La metà degli anni sessanta rappresenta, secondo studiosi come Achille Ardigò, un crinale decisivo nella storia del sindacalismo cislino, con un mutamento di ruolo, pur nella continuità descritta da Carniti.

Il sindacato, in sostanza, ritiene di dover fare “politica”, rivendicando certamente ancora l’autonomia del sociale ma per influire sulla società politica in direzione delle riforme di struttura e sulla base delle rivendicazioni sociali generali dal basso.

Ma su questo tema voglio riprendere le parole di Franco Marini nel suo ultimo intervento, pubblicato a fine novembre del 2020, nel libro dedicato a Pippo Morelli.

“Dopo i primi, laboriosi anni di costruzione delle fondamenta e delle strutture della Cisl pioniera di Giulio Pastore seguirono gli anni di una “seconda ondata” consolidativa e sempre più organizzata, che vide il protagonismo di Bruno Storti. Ma subito, a ruota, nella seconda metà degli anni Sessanta, emergeva la vitalità di una nuova scalpitante leva di operatori e di attivisti che mise in evidenza la nuova, scalpitante leva di operatori e di attivisti [..] allevati nel decennio precedente non solo nella nostra “Università di Firenze”, ma anche nelle realtà territoriali, animate da una larga e solida fascia di organizzatori: “vignaioli” che mettevano in campo esperienze magari assorbite dalla Giac e nello scoutismo bianco delle parrocchie di paese, dove operava una rete di educatori esemplari, capaci di indicare le mete generose del personalismo, del comunitarismo, della dedizione sociale […].[7]

Dopo un periodo di collaborazione diretta con il suo maestro Giulio Pastore, divenuto Ministro per il Mezzogiorno e per la aree depresse, nel 1965 Marini entra nella Federpubblici della Cisl, con l’incarico di segretario generale aggiunto e, successivamente, di segretario generale.

Si prepara l’età del “potere contro potere” [slogan coniato da Storti che in realtà all’epoca non era piaciuto a Carniti che lo aveva giudicato strumentale] senza, però mai perdere di vista la centralità della contrattazione, aziendale e settoriale, nell’azione sindacale.

Firmare il contratto significa ottenere risultati concreti e misurabili per i lavoratori, ma anche trasformare la società: per Carniti il sindacato non era solo movimento, ma un’istituzione della società moderna. Ha sempre rifiutato l’etichetta di “sindacalista d’assalto” che, almeno nei primi tempi della sua esperienza sindacale, gli veniva spesso affibbiata [divenendo poi anche il titolo di un famoso libro].[8]

Non si può non ricordare, solo per fare un esempio, la concomitanza temporale a fine 1969 tra le bombe di Piazza Fontana e la risposta del mondo del lavoro con la firma del contratto dei metalmeccanici a valle dell’autunno caldo, il 21 dicembre di quell’anno. Carniti, Benvenuto e Trentin furono protagonisti e guida di un movimento rivendicativo fortissimo.

Carniti fu firmatario di quel contratto, è bene ricordarlo, perché, pur avendo portato la maggioranza congressuale della Cisl, insieme a Macario, su posizioni favorevoli all’incompatibilità e al percorso di unità sindacale, aveva perso il congresso per pochissimi voti nel luglio del 1969 e deciso di lasciare la segreteria confederale, tornando alla Fim.

Un congresso, quello del 1969, in cui i lavoratori pubblici e del parastato, guidati da Marini si schierano insieme ai metalmeccanici guidati da Carniti e dove si consuma una storica rottura tra la maggioranza di Storti e Scalia che ottiene il 50,3 per cento e la minoranza composta da Carniti, Marini, Crea, Armato.

Nel suo intervento dalla tribuna congressuale il sindacalista cremonese fu molto netto nel commentare la “giravolta” politica del segretario generale Bruno Storti. Si esprimeva così Carniti nel luglio del 1969: “Oggi però non è questione di aggiornare le proprie carte d’identità, passando da uno schema ideologico all’altro, modificando magari il linguaggio, rendendolo più duro, più di “sinistra”, inventando formule combattive. Questi artifici demagogici, questi tentativi maldestri di recuperare un ruolo di “contestatari” non ci interessano. I lavoratori della CISL, e molti fuori di essa, si attendono scelte chiare e molto concrete, non fumo, non trasformismo, non compromessi, non accordi di vertice […].

Molti importanti le sue parole sullo scontro interno e sul mantenersi, nonostante tutto, in un quadro condiviso di valori: “Penso perciò che proprio il fatto che oggi, al Congresso della CISL, si delinei uno scontro aperto tra posizioni e uomini diversi, non sia un pericolo per l’unità dell’organizzazione, non generi sfiducia alla base, ma sia un punto a favore di una organizzazione che non cela i contrasti, che anzi punta sulla chiarezza, sulla trasparenza del suo dibattito, per ritrovare la strada di un impegno risolutivo, tanto più che nella CISL il confronto non è tra gruppi di persone, ma sale ed è cresciuto dalla base al vertice centrato su linee politiche, su modi diversi di delineare le nostre azioni a partire dai medesimi valori di fondo”.[9]

Un congresso, quello del 1969, che stabilì comunque l’autonomia sindacale e l’incompatibilità con le cariche politiche e l’orizzonte dell’unità sindacale con Cgil e Uil.

Certo se pensiamo agli anni successivi e al suo rapporto, complesso, con la figura di Bruno Storti, non ci possiamo fermare a questi polemici passaggi congressuali e al fatto che, nonostante Storti avesse vinto il congresso, non si dedicò ad “uccidere sindacalmente” Carniti e Macario, ma anzi contribuì a recuperarne “l’eresia”, favorendone poi l’ascesa ai vertici della confederazione nel decennio successivo.

5.    L’orizzonte di Carniti e Marini

L’orizzonte di Carniti, in particolare, non è solo italiano e non è solo sindacale: si pensi alle riflessioni, contenute nella sua autobiografia, sulla sua curiosità ed interesse [e anche una qualche delusione] rispetto al Concilio Vaticano II°.

Nel delineare gli anni successivi Carniti ha riflettuto sull’”anticomunismo di sinistra” proprio e della Fim che, negli anni settanta, attirò nel sindacato dei metalmeccanici cislini, proteso verso l’unità sindacale organica, significativi gruppi di extraparlamentari di sinistra.

Siamo al 1972, ad un anno fondamentale, poiché avrebbe dovuto essere, ma non fu, dopo le “spinte” degli impetuosi ’68 e ’69, quello dell’unità dei metalmeccanici e, di federazione di categoria in federazione di categoria, quello dell’unità sindacale organica.

Le battaglie di Carniti si sposteranno nella confederazione di Via Po, che vivrà momenti duri e complessi, verso la fine della segreteria Bruno Storti [“convertitosi” gradualmente alle posizioni della “sinistra” cislina e di cui si ricorda la storica relazione congressuale del 1969: “Potere contro potere”]. Carniti diverrà prima segretario generale aggiunto durante la guida del suo antico mentore Luigi Macario [1977-1979] e poi, indimenticato ed indimenticabile segretario generale [1979-1985].

Vanno ricordati, in forma critica, nel ricordo carnitiano la figura e un dialogo, mai interrotto quanto mai “risolto”, con Bruno Trentin.

La Fim realizzò il proprio congresso di autoscioglimento nel 1972, la Fiom nemmeno lo convocò. Trentin, personalmente favorevole all’unità organica, si fermò, in primis di fronte alla contrarietà del Pci.

È  qui che va in crisi, per alcuni anni, il rapporto interno alla Cisl tra Carniti e Marini.

Il tema dell’unità organica e dei tempi e dei modi per raggiungerla, spacca internamente la Cisl ad ogni livello.

Come è noto alle spinte verso l’unità di Macario e Carniti si contrapposero Scalia, Marini, Sartori.

Si arriva al celebre consiglio generale di Spoleto del 1972 in cui i due schieramenti interni alla Cisl si fronteggiano senza che uno riesca a prevalere sull’altro.

Se Scalia arrivò ad ipotizzare, con l’apporto di alcuni settori della Democrazia Cristiana e di alcuni esponenti del sindacato americano, una vera e propria scissione della Cisl, Marini e Sartori seppero, pur in un periodo di fortissime tensioni interne, sfociate in due congresso a tesi contrapposte nel 1973 e nel 1977, mantenere saldo l’orizzonte dell’unità nella diversità della Cisl.

Nel 1973, con un forte rimescolamento interno, la maggioranza che fa capo a Storti prevale con circa il 60% dei voti.

Marini, esponente della minoranza, entra nella segreteria confederale della Cisl proprio nel 1973 come responsabile della contrattazione nel settore del pubblico impiego.

Una divisione che continua nel congresso del 1977 [in cui segretario generale è Macario, che aveva sostituito all’inizio dell’anno Bruno Storti], ma che vede, poco tempo dopo, una ricomposizione con Marini, Fantoni e Merli Brandini rientrare, pur esponenti della cosiddetta “Tesi 2” entrare in segreteria confederale.

La ricomposizione definitiva avviene il 2 maggio 1979 quando Pierre Carniti viene eletto segretario generale e Franco Marini segretario generale aggiunto.

Anche in anni successivi, inevitabilmente riferiti al periodo del referendum sulla scala mobile, ma non solo, il rapporto fortemente dialettico con il Pci, è un tema ricorrente, visto da un “cristiano nella sinistra”, come si definiva Carniti, in un ‘ottica pienamente europea, come ampiamente traspare nella sua bella prefazione al libro di Giorgio Tonini sull’esperienza dei cristiano sociali: “La rosa rossa, la rosa bianca” [10]. Tonini, è stato, fra l’altro, anche autore, dopo la scomparsa di Pierre Carniti, di uno dei ricordi più belli, in memoria del sindacalista cislino[11].

Quello con Trentin fu un rapporto singolare, per nulla semplice, ma duraturo, a volte anche a parti “invertite”, si pensi ai passaggi fondamentali del 1985 con Trentin fiero e convinto avversario dell’accordo con il governo Craxi sulla scala mobile [segnato, tragicamente dalla scomparsa di Enrico Berlinguer e dal barbaro assassinio di Ezio Tarantelli, consulente comunista della Cisl, ucciso dalle Brigate Rosse] e del 1992, con un Carniti ormai fuori dal sindacato, ma esplicitamente critico sull’accordo unitario che vedrà la famosa, tormentata firma del sindacalista italo-francese.

Tra gli orizzonti di Carniti, oltre al c.d. “ruolo economico del sindacato” mutuato dalla collaborazione con Ezio Tarantelli, va almeno citata la riflessione sull’importanza del sindacato e dei lavoratori stessi come motori dello sviluppo territoriale, alla base dell’idea avanzata, quanto scarsamente capita, dello 0,50 di risparmio/investimento contrattuale. Uno strumento in funzione di supporto proprio dello sviluppo territoriale, a partire dal Mezzogiorno.

Va poi ricordato, se ci vogliamo soffermare ancora un momento sulla concezione puramente   sindacale di Carniti, il suo coltivare e quasi estremizzare alcune concezioni della Cisl delle origini. Si pensi, appunto, al risparmio contrattuale o all’idea che gli associati al sindacato [union shop] dovessero avere dei vantaggi rispetto ai free riders.

Non mi soffermo sul passaggio fondamentale del 1984-1985 e di un segretario generale Cisl, in precedenza grande artefice dell’unità sindacale che compì, invece, un rottura storica, lasciando poi la segreteria generale a soli quarantanove anni, oltre che per ragioni di salute, perché: “era importante ricucire, e ciò non poteva essere fatto dalla stessa persona che, per ragioni di merito, aveva dovuto, invece, rompere”.

Ha ricordato Marini: “Proprio per rivendicare l’autonomia della politica Carniti fu decisissimo: mi disse chiaramente che noi non avremmo ceduto alla posizione di Berlinguer e non avremmo avuto paura del referendum. La Cisl, in quel frangente, dovette difendersi anche dai condizionamenti della Democrazia Cristiana. Nelle settimane successive alcuni esponenti della Dc [e in misura minore anche del Psi] vennero ripetutamente al primo piano di Via Po, dove c’era la segreteria generale, a perorare la scelta di provare ad evitare il referendum”.

È doveroso riservare anche solo un accenno alla segreteria generale di Franco Marini, tra il 1985 e il 1991. Va ricordato l’impegno di Marini di giungere ad una ricomposizione, dopo la rottura drammatica sulla scala mobile. Si deve anche a Marini il mettere le basi di un’intesa che accomunerà lavoro pubblico e lavoro privato dopo il crollo dei Consigli di Fabbrica e che vedrà l’importante intuizione della costituzione delle Rappresentanze Sindacali Unitarie [le Rsu] nel 1993.

6.    Il senso del lavoro nelle più recenti riflessioni di Carniti e Marini

Vi sono altri temi ricorrenti nel pensiero di Carniti, assolutamente attuali.

Nel dicembre del 2017, in occasione di un incontro presso l’Università di Parma, di presentazione del suo libro, cui non aveva potuto partecipare perché: “relegato agli arresti domiciliari sanitari”, l’anziano sindacalista aveva registrato un significativo video, [12] volendosi concentrare su un tema antico e a lui carissimo, ma di piena attualità: la riduzione dell’orario di lavoro al tempo della digitalizzazione.

La questione della ripartizione del lavoro in collegamento con il problema della disoccupazione e dei cambiamenti tecnologici è stata una costante della riflessione dell’ex segretario generale della Cisl, sulla quale, è importante che, creativamente, e in un’ottica europea il sindacato continui a riflettere e, possibilmente, agire. E’ un tema, peraltro, che si collega a quello, altrettanto dirimente, di un sindacato inclusivo e dell’unità di azione.

Ricordo, inoltre, che Carniti ci suggerì, nel video inviatomi per trasmetterlo alla Cisl di Parma e Piacenza, come la riduzione contrattata dell’orario di lavoro, oltre che auspicabile da un punto di vista economico, fosse un’efficace risposta ai facili innamoramenti sul “reddito di cittadinanza”.

Rimanendo, come desiderava e ci insegnava il “vecchio” Pierre, alle questioni dell’oggi: non era più rimandabile, secondo Carniti, che accompagnò l’ascesa e il declino dei consigli di fabbrica, una riflessione sul rapporto tra sindacato e democrazia partecipativa, su uno sguardo che ritrovi il pieno collegamento con un mondo del lavoro sempre più frammentato e vorticosamente in cambiamento.

Si chiedeva, ci chiedeva [e chiede] Carniti: come mettere a sistema le buone prassi che certamente ci sono?

E’ una riflessione importante, ovviamente collegata al tema dell’unità sindacale oggi, ricordato in uno dei suoi ultimi interventi organici, pubblicato nel settembre 2017[13].

Una lettera molto significativa, a partire dal titolo: “Se il sindacato vuole avere un futuro”, che poneva in primis la necessità di costruire un sindacato confederale maggiormente inclusivo.

Rispetto a questo tema è opportuno ricordare un approccio al tema “democratico” ricorrente in Carniti che è ben sintetizzato nel suo intervento alla tavola rotonda promossa da Rinascita a commento del celebre dibattito promosso all’inizio degli anni ottanta sui “mestieri del sindacato”. Affermava Carniti, criticando l’approccio del comunista Chiaromonte: “la democrazia non vive senza il pluralismo. Che significa, non solo pluralità di partiti, ma di poteri e di ordinamenti, per non sacrificare la società civile allo Stato o agli equilibri politici, che comporterebbe un progressivo e intollerabile svuotamento della democrazia stessa e quindi un rischio crescente di degenerazione autoritaria”[14]

Due ultimi accenni legati alla parte “saggistica” del libro “Pensiero, azione autonomia”.

Sono, a mio parere, particolarmente significativi i contributi di Gian Piero Cella, sulla cultura sindacale di Carniti, e di Tiziano Treu sulla vicenda individuale e collettiva nella Cisl rispetto al rapporto tra legge e contratto che ha avuto, ovviamente, un passaggio fondamentale con l’adozione, nel 1970, dello Statuto dei Lavoratori.

Cella ci regala l’immagine di un Carniti come vero e proprio “inventore” di una originale cultura sindacale che il sociologo milanese intende come l’ambito o l’antefatto delle politiche contrattuali, una sorta di collegamento tra gli aspetti rivendicativi e materiali dell’attività sindacale e il più ampio riferimento alla società e alle sue trasformazioni.

Scriveva Carniti nell’editoriale del numero 3 di Dibattito Sindacale nel 1964: “Il sindacato non può rimanere estraneo alle grandi correnti di pensiero, alle idee e alle proposte che si elaborano al fine di una soluzione dei problemi economici e sociali di breve come di lungo periodo ed il dialogo rappresenta in questo campo la possibilità e la condizione affinchè il sindacato non si isoli, ma diventi forza socialmente viva e stimolatrice dell’evoluzione sociale”.

È importante nel percorrere il cammino che, dal passato ci avvicina al presente, citare alcune riflessioni di Franco Marini in occasione del seminario al Centro Studi in memoria di Giulio Pastore svoltosi al Centro Studi di Firenze nel 2019:

“[…] Oggi c’è ancora una necessità fortissima di sindacato: la digitalizzazione cambia il lavoro, non lo elimina. Il sindacato deve stare dentro ai processi, non deve “farsi mettere da parte”, come purtroppo accade in molte parti del mondo.

Penso, ad esempio ad Amazon: alle condizioni di lavoro a cui molti nostri ragazzi sono costretti e alla necessità di esserci, di compiere una difesa civile di chi lavora in questi luoghi. E’ vero, molti lavoratori resistono per non più di nove mesi a quei ritmi e a quelle condizioni di lavoro: ma sapete che cosa hanno fatto i migliori? Hanno scioperato. Poi hanno fatto entrare, pur tra mille difficoltà, il sindacato in azienda. Questo avviene grazie alla linfa di un “sindacato nuovo”, che rinasce e si rigenera dando sostegno alla battaglia di questi giovani coraggiosi e consapevoli.”[15]

Un’attenzione ai giovani e al rinnovamento del sindacato anche attraverso la formazione che è testimoniata anche da una significativa video-intervista del 1990 dello stesso Marini, recentemente rilanciata dal Centro Studi Cisl di Firenze[16].

7.    Carniti: un ricordo personale

Valorizzando la dimensione personale, non posso non completare questa riflessione con un approfondimento specifico su Pierre Carniti con il quale ho condiviso, a partire dal 2007, una frequentazione personale della quale sarò sempre grato.

Ricordando cosa ha rappresentato e cosa rappresenta Pierre Carniti per me.

Il 25 settembre 2016, in occasione dei suoi ottant’anni, scrissi in un giornale locale toscano un articolo che si intitolava così: “Gli ottant’anni di Pierre Carniti: kairòs della speranza e desiderio di futuro”.

Ancora oggi, per chi, come me, è entrato alla Cisl, ormai quasi vent’anni fa [tramite il Cesos centro studi animato da Domenico Paparella e Guido Baglioni] sulla scia del mito del sindacato negli anni sessanta e settanta, Carniti rappresenta, forse non un’icona, come in altre epoche, ma certamente un punto di riferimento imprescindibile.

Dico di più, per chi lo ha fatto sulla scia degli echi del cattolicesimo sociale, post conciliare e progressista, lui, il cattolico nella sinistra, non democristiano, che ha guidato la Fim e la Cisl in epoche diverse, ha esercitato un fascino ancora potentissimo.

Non posso vantare, anche per motivi anagrafici, una frequentazione assidua e profonda, ma non mi sono limitato a conoscerlo sui libri.

Ricordo, con emozione, la prima volta che lo vidi, oltre una decina di anni fa, ad Assisi al seminario annuale dei Cristiano Sociali, con il suo immancabile sigaro, insieme ad Emilio Gabaglio.

Ricordo il dibattito organizzato con lui nel 2009, al Teatro San Genesio di Roma sulla riforma contrattuale con giovani sindacalisti di tutte le provenienze, anche se le sue posizioni, in quel caso, non coincidevano pienamente con quelle della Cisl.

Ricordo le riunioni di Eguaglianza & libertà, cui ho per un po’ partecipato: i suoi interventi ironici e profondi, e quella volta che mi ha regalò l’autobiografia con dedica personale di Luigi Scricciolo, il sindacalista Uil ingiustamente accusato di far parte delle Brigate Rosse, figura peraltro fortemente aiutata e sostenuta dopo le ingiuste vicissitudini giudiziarie da anche da Marini, sapendo che mi stavo occupando del tema.

Ricordo il momento, indimenticabile, in cui ho avuto l’onore di accompagnarlo verso il palco dell’ultimo congresso confederale nazionale della Cisl, mentre tutta la sala si alzava in piedi, emozionata, a salutarlo.

Penso alla mia ultima notte in cui ho avuto casa a Roma, nell’ottobre del 2012. Lo andai ad intervistare a casa sua sull’Appia antica, sui suoi rapporti con Pippo Morelli, di cui ho già fatto cenno precedentemente.

Quella sera lo ritrovai un po’ scorbutico, ma lessi comunque l’emozione nei suoi occhi quando mi indicò, all’ingresso di casa, i quadri regalatigli da Morelli, in occasione delle nozze. Erano gli ultimi mesi di Pippo Morelli in vita, dopo oltre vent’anni vissuti dovendo convivere con le gravissime conseguenze di un ictus.

L’ultimo anno di Pierre è stato dedicato anche a portare a compimento e dare continuità alla sua intuizione del Premio Astrolabio del Sociale per i giovani ricercatori sui temi del sindacato e della rappresentanza del lavoro, poi proseguito in altre forme dopo la sua scomparsa.

Voglio condividere la riflessione che Pierre Carniti non è [non riesco qui, nonostante i quattro anni trascorsi ad usare un verbo al passato] solo un sindacalista eccezionale, una figura che rimarrà nei libri di storia italiana, un “padre della patria”, come è stato definito, ma soprattutto un testimone autentico, un protagonista del sindacato, e più in generale dell’impegno sociale, che è importante, fondamentale far conoscere ai ragazzi e ai sindacalisti di oggi, non solo della Cisl e della Fim.

Chi volesse approfondire i “mitici” anni sessanta, può leggere la sua testimonianza tratta dal libro: “Era il tempo della speranza”[17] sempre con l’attenzione non nostalgica di un “kronos” lontano e ormai esaurito, ma di un “kairòs”, un tempo opportuno che ci interroga e ci regala un grande entusiasmo, critico e non apologetico, ancora oggi.

Un importante e recente testo sul lavoro redatto da Carniti che aggiunge molti contenuti di attualità rispetto al già citato volume autobiografico, è rappresentato da: “La risacca – Il lavoro senza lavoro”, in cui si affronta il lavoro non solo come fatto economico, ma come fatto “sociale e relazionale”.

“Se il lavoro è sempre esistito e sempre continuerà ad esistere ci troviamo oggi – scriveva Carniti nel testo – di fronte ad un grave paradosso: mentre la disoccupazione cresce in tutto il Mondo ed in particolare nei paesi “sviluppati” chi lavora, complice il sempre più evidente mischiarsi del tempo del lavoro e del non-lavoro, invece di riuscire a ridurre le ore di impegno le vede accrescere.”[18]

Ammoniva Carniti nel 2013:

“In gran parte delle dottrine economiche e delle politiche dei governi l’elemento decisivo del “senso” del lavoro per le persone ha scarso o nessun rilievo. Invece è proprio dal “senso” che non si può assolutamente prescindere per mettere concretamente in campo politiche finalizzate alla stessa riduzione della disoccupazione. La mancanza del lavoro, infatti, non è separabile anche dal suo “senso” sociale e umano […]”.

“La situazione con cui siamo alle prese ‒ continuava Carniti ‒ “dunque, è che troppo spesso la politica moderna non riesce a, o non si preoccupa di mettere gli individui in condizione di dare un senso al proprio lavoro e quindi alla propria vita. Perché ciò possa diventare possibile sarebbe necessario – continuava l’ex segretario generale della Cisl – il riferimento a valori e finalità in cui i lavoratori si possano identificare e allo stesso tempo riescano a legittimare e affermare il loro legame con le comunità di appartenenza e con l’universo morale che le può tenere unite. Si capisce bene che quando il profitto, il valore degli azionisti, i bonus per i dirigenti, sono anteposti a tutto il resto, la “creazione di senso” per l’intera società diventa piuttosto improbabile. Per non dire del tutto impossibile. Ed è proprio a questo punto che siamo arrivati. Sarebbe quindi indispensabile una correzione di rotta. Possibilmente prima di scoprire disastrosamente – concludeva l’ex segretario generale Cisl – che non sono rimasti più il tempo e lo spazio per effettuare manovre correttive. […]”[19]

Temi attualissimi e sempre affrontati con efficacia e originalità.

Se rileggiamo il suo ultimo testo organico, appunto “La risacca” ci sono altri spunti che vale la pena almeno di citare.

C’è un paragrafo del libro che si intitola: “nuove esperienze possibili”.

Carniti raccontava di esperienze incoraggianti anche se ancora minoritarie, modalità concrete, che prefiguravano un possibile: “nuovo modello relazionale, umano del lavoro”.

Modelli che esprimevano la possibilità di un’economia altra rispetto a quella che aveva dissipato risorse economiche e umane.

Il sindacalista cislino si riferiva a forme sperimentali di: “lavoro associato”, forme diverse dai canoni del lavoro dipendente, subordinato, salariato.

Egli si riferiva all’avanzare un nuovo modello di lavoro sociale, di micro imprese nei settori più creativi e innovativi, attraverso forme di lavoro “autogestite” che aiutassero a recuperare il senso del lavoro attraverso modalità di partecipazione e “comunità di lavoro” nel quale il lavoro diviso si ricompone socialmente, soprattutto mediante nuove e rinnovate modalità di concepire l’impresa cooperativa.

Quello dell’autogestione è, insieme alla riduzione dell’orario di lavoro, un tema ricorrente di Carniti, fin da prima di entrare nel sindacato, frutto anche della conoscenza maturata nei primi anni cinquanta, nel territorio cremonese con una figura significativa della storia sociale del nostro paese: Guido Miglioli e che, anche per dare una risposta alle crisi causate dalla pandemia [e non solo] ha visto il rilancio di strumenti importanti che hanno favorito l’aumento delle imprese in crisi “rigenerate dai lavoratori” attraverso i “workers buyout”, frutto di una legge la c.d. Marcora, approvata proprio nelle settimane in cui lasciava la guida della Cisl, nel 1985.

8.    Quale “eredità”

Mi è spesso risuonata nella mente la famosa, e nei giorni successivi alla scomparsa citatissima, chiusura dell’intervento di Carniti al congresso nazionale della Cisl, l’11 luglio 1985, dopo le grandi tensioni anche interne che avevano comunque portato alla vittoria nel referendum sulla scala mobile, quando, lasciando la segreteria a soli 49 anni, concludeva, parafrasando S. Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia. Ho terminato la mia corsa. Ho conservato la fede in quello straordinario fatto di solidarietà umana che è il sindacato, che è la Cisl”.

Altrettanto significativo è il commiato di Marini dalla segreteria generale della Cisl, affidato ad un’intervista con l’allora direttore di Conquiste del Lavoro: Ruggero Tagliavini:

“[…] Ho trascorso una vita nel sindacato, nella Cisl. Ho rispettato e fatto rispettare i rapporti tra sindacato e partiti nei termini di una rigida autonomia. […] Dopo la scomparsa improvvisa di Donat Cattin, che è la ragione del precipitare della mia scelta, l’impegno che mi sento di assumere è di continuare il lavoro di Donat-Cattin e, se possibile, di rafforzare la sinistra sociale. Nella situazione politica italiana vedo un rischio possibile, caduti ideali e prassi del comunismo in Italia e in Europa per l’inadeguatezza della risposta, il rischio è che gli interessi forti, un’idea di mercato risolutore di tutti i problemi, la ripresa di un liberalismo senza regole, possano divenire egemoni anche nella nostra democrazia […].[20]

Tornando a Carniti, approfondendo la figura del segretario generale della Cisl è stato importante apprezzare due grandi doti, solo apparentemente divergenti: la fragilità e la tenacia.

Mi spiego meglio: di Carniti sono molto interessanti anche le sconfitte. Lo ricordava lui stesso nell’autobiografia quando raccontava della prima “conta” al consiglio generale della Cisl, in cui, credo sul tema dell’incompatibilità, insieme a quella di Pierre Carniti si alzarono solo quattro mani, a fronte di un consesso di oltre cento persone.

Non senza un pizzico di malizia ricordava sorridendo l’ironia finale del segretario generale della Cisl Bruno Storti che, di lì a pochi anni, lo avrebbe raggiunto sulle stesse posizioni.

A livello personale, Carniti mi ha ricordato più volte questo e simili episodi che fanno comprendere il valore rivoluzionario della tenacia e della pazienza, del saper far fare passi avanti, rompendo quando necessario, ma avendo cura, sempre, non dell’immediato, ma della coerenza di una strategia. Di fronte ad una società che si concentra sempre di più solo sui “vincenti” [salvo poi fomentare la rabbia, a volte rancorosa, degli “altri”], quel suo sapere stare “quasi ai margini”, quel suo saper tornare, non da solo peraltro, in periferia, sempre tra i lavoratori e tra gli ultimi, ci consegnano un messaggio potentissimo: non temere, non fuggire la fragilità, la sconfitta, la testimonianza. Non per compiacersi di esse, e di una purezza, questa volta sterile e moralistica, assolutamente. Ma per trovare la forza di un balzo più lungo, più vero, più condiviso.

La Cisl di Carniti fu, sempre, la Cisl del rapporto coltivato e reciproco con gli intellettuali e gli specialisti, un rapporto coltivato e mai succube e che si sviluppò, come ci ricorda Bruno Manghi, prima con i “giovani maestri” della scuola di Firenze, poi con il mondo culturale milanese, fino all’incontro decisivo con, tra gli altri, Vicarelli e Tarantelli.

Un’eredità importante e forse non particolarmente conosciuta, di Marini, è, invece, l’attenzione e l’impegno, condivisi con il suo predecessore, per la dimensione europea e mondiale del sindacato.

Fra il 1986 e il 1990 Marini fu vicepresidente della confederazione internazionale dei sindacati liberi e della Confederazione Europea dei sindacati, si impegnò in prima persona per sostenere le esperienze sindacali oppresse dalla dittatura, nel Cile di Pinochet, come nella Polonia che vedeva il definitivo affermarsi della Solidarnosc di Lech Walesa.

Come ha scritto Giorgio Benvenuto in un articolo su Il Quotidiano del Sud il 10 febbraio 2021, ricordando il leader della Cisl: “In Franco il senso della solidarietà e della libertà da tutelare era davvero forte”.

Concludeva Pierre Carniti, la sua bellissima autobiografia, redatta attraverso i dialoghi con Paolo Feltrin:

“Ancora una cosa, prima che scenda la sera. Davanti a me ho un giovane. Lui ascolta, io termino di raccontare. Osserva con attenzione Il quarto stato di Pelizza da Volpedo: siamo nel 1907, vedi quei lavoratori? Non vogliono il “potere ai soviet”, ma un mondo migliore, un po’ più di eguaglianza e giustizia sociale.

Ogni tanto accarezzo l’idea che il ragazzo lì dietro, di lato, con i pugni serrati, assomigli un poco a com’ero io da giovane. I ricordi, quando si è stanchi, cominciano a sovrapporsi fino a dare forma a strani pensieri. Uno di questi mi fa sorridere, in bilico tra passato e futuro.

Ha a che fare con la convinzione che in tanti parti del mondo, di sicuro anche qui da noi, ci siano ancora ragazzi e ragazze in tutto simili al giovanissimo tipografo con in mano la licenza media nella Cremona degli anni Cinquanta: un po’ timido, piccolo, magro, capelli cortissimi, tagliati a spazzola. Scoprono, quasi senza volerlo la vocazione a contestare il mondo così come è, per poi apprendere come d’incanto la misteriosa dote di portarsi appresso tanti altri come loro. Cominceranno così la loro avventura di sindacalisti, magari in prima fila, alla testa di un corteo.

A seguirli, appena qualche passo più indietro, accanto a un ragazzo con piercing, felpa e zainetto del sindacato a tracolla, intravedo l’ombra sorniona del vecchio Pierre, addosso un vestito fuori moda, stretto tra i denti il suo amato sigaro toscano mai spento.”

Sta a noi, con il nostro sguardo, raccogliere e intrecciare al meglio l’amore per il sindacato, ricostruire dai frammenti un “tutto”, per “fare giustizia insieme”, attraverso il dialogo, fruttuoso e dialettico, tra le generazioni. C’è, infatti, sempre un Kairòs, un tempo opportuno, per la Speranza, per “sognare da svegli” come ricordava spesso lo stesso Carniti, citando Aristotele.

In questo tempo, proprio in questo tempo, con le difficoltà e le opportunità che ci sono date, attraverso questo desiderio di essere, non possiamo che ritrovarci infinitamente riconoscenti, fieri di persone, non solo icone, non solo miti, come Pierre Carniti e Franco Marini.

Scriveva Chesterton: “Noi possiamo prendere le nostre lacrime più alla leggera della tremenda levità degli angeli. Così forse sediamo in una camera stellata di silenzio, mentre la risata dei cieli risuona troppo forte perché possiamo udirla”.

Così, “la morte non avrà l’ultima parola”[21] e, mi concedo una citazione antica, da calabroni, potremo ancora, “paradossalmente volare” o, se vogliamo, “remare controcorrente”.

Francesco Lauria, Centro Studi Nazionale Cisl Firenze, febbraio –  maggio 2022 [rielaborazione dell’intervento in memoria di pierre carniti e franco marini pronunciato in occasione del congresso della cisl di torino, 25 febbraio 2022],

1 In, P. Carniti, L’autonomia alla prova. Il sindacato negli anni della crisi, Coines Edizioni, 1977.

2 M. Colombo, R. Morese [a cura di], Pensiero, azione, autonomia. Saggi e testimonianze per Pierre Carniti, Edizioni Lavoro, Roma, 2016.

[3]  N. Oliverio, G. Fiore, N. Oliverio Sempre Franco. Marini tra sindacato, politica e istituzioni, Edizioni Lavoro, Roma, 2022.

[4] P. Giuntella, “Il fiore rosso. I testimoni, il futuro del cristianesimo” Edizioni Paoline, 2006.

[5] “Pensiero, azione autonomia. Saggi e testimonianze per Pierre Carniti”, a cura di R. Morese e M. Colombo, Edizioni Lavoro, 2017

[6] A. Ciampani, Giulio Pastore [1902-1969]. Rappresentanza sociale e democrazia politica, Studium Roma, 2020.

[7] Si veda F. Marini Pippo Morelli e il pluralismo vivo della Cisl: respirare insieme per una sintesi più alta, in F. Lauria, Sapere, libertà, mondo. La strada di Pippo Morelli, Edizioni Lavoro, Roma, 2020.

[8] C. Torneo: “Il sindacalista d’assalto. Pierre Carniti e le lotte operaie degli anni Sessanta”, Sugar Co, 1976.

[9] L’intervento di Pierre Carniti al congresso confederale Cisl del 1969 è stato recentemente ripubblicato in: R. Morese [a cura di], La persona, il lavoro. 1° Annuario dell’Associazione Astrolabio del Sociale. Premio Pierre Carniti, Edizioni Lavoro, Roma, 2019.

[10] G. Tonini: “La rosa rossa e la rosa bianca, materiali di lavoro dei Cristiano Sociali, Cittadella Editrice, Assisi 2001.

[11] G. Tonini: “Quel pomeriggio con Carniti, aspettando il risultato del referendum sulla scala mobile”: //www.conquistedellavoro.it/sindacato/quel-pomeriggio-con-carniti-aspettando-il-risultato-del- referendum-sulla-scala-mobile-1.13783 .

[12] Il video, dopo la scomparsa di Pierre Carniti, è stato ripubblicato su vari siti internet tra cui: //www.eguaglianzaeliberta.it/web/content/carniti-sullorario-di-lavoro

[13] . Carniti: “Se il sindacato vuole avere un futuro”: //www.eguaglianzaeliberta.it/web/content/se-il- sindacato-vuole-avere-un-futuro .

[14] I mestieri del sindacato. Il dibattito di “Rinascita” intorno al caso Fiat, Roma, 1982.

[15] La testimonianza è raccolta in: F. Marini, Il coraggio di essere autonomi: Giulio Pastore e noi, in F. Lauria, E. Innocenti [a cura di], Giulio Pastore e il sindacato nuovo. Valore della formazione e impegno per il Sud, Edizioni Lavoro, Roma, 2019.

[16] Qui il link al filmato, che contiene anche una testimonianza di Sergio D’Antoni: //www.youtube.com/watch?v=jT5-J-FQwnY&t=15s

[17] Si veda: //www.fim-cisl.it/wp-content/uploads/2016/01/Pierre-Carniti-Anni-della-speranza.pdf

[18] P. Carniti “La risacca. Il lavoro senza lavoro”, Altrimedia Edizioni, 2013.

[19] P. Carniti, Op. Cit.

[20] Intervista pubblicata su Conquiste del Lavoro il 29 marzo 1991.

[21] P. Giuntella, “L’aratro, l’Ipod, le stelle”. Diario di viaggio di un laico cristiano, Edizioni Paoline, 2008.

Di Francesco Lauria [Centro Studi Cisl Firenze]

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